Il racconto del giorno del pick up nel percorso di PMA (Procreazione medicalmente assistita)
Come sappiamo la PMA è un argomento tabù e il più delle volte non si chiedono mai informazioni, ma oggi mi sento di soffermarmi e raccontarvi della mia esperienza sul prelievo ovocitario, detto anche pick e credo che quello che non è semplice da gestire è proprio la carica di emozioni per arrivare fino a quel momento.
Firenze, ore 8.00, era il 18 dicembre 2020 di una giornata uggiosa e, a causa del Covid, mio marito non è potuto entrare con me in stanza ne prima ne dopo. Nella mia stanza, una volta sola, un turbine di sentimenti mi hanno travolto e non sono più potuta scappare dei pensieri che mi frullavano in testa: ho cercato con tutta me stessa di restare calma, di pensare a cose belle e positive, alle persone care, alle lacrime versate per arrivare fino a quel momento, al motivo per il quale mi trovavo seduta su quel lettino a fissare il vuoto e a tutto quello che avevamo affrontato per arrivare a quel momento.
Ma l’unica cosa che mi ha investito è stata la paura. Avere paura è normale! Il timore di compromettere la buona riuscita del percorso, di conciliare aspettative e reali possibilità di riuscita, l’idea del fallimento in caso di esito negativo.
I miei pensieri, tutto, sono stati interrotti in un attimo dall'ostetrica che mi venne a chiamare, era giunto il mio turno di entrare in sala operatoria: in quel momento mi credete che non ho sentito nulla se non il rimbombare in testa del "perché ci sono io su questo lettino, oggi?".
Avevo letto dai libri, sembrava essere una cosa complicatissima, ma in realtà, se pur un piccolo intervento in sala operatoria dura circa 20 minuti e nel mio caso è stato fatto in sedazione leggera. Il prelievo ovocitario, consiste appunto nell'aspirare i liquidi follicolari e gli ovociti in essi contenuti che verranno poi passati al laboratorio per essere fecondati e trasferiti in un secondo momento.
Il tanto e terribile atteso giorno del pick up si è risolto in qualche ora in clinica, nel viaggio che mi riportava a casa, ora consapevole di una nuova speranza che forse si sarebbe attaccata a me.
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Enza, Mamma in Pma
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