Mamme che praticano sport a livello agonistico

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Nel passato molte atlete ponevano termine alla loro carriera agonistica quando decidevano di avere un bambino. Il recupero fisico dai cambiamenti dovuti a gravidanza e puerperio costituiva per molte un limite invalicabile per la ripresa della attività agonistica.
Ma solo di questo si trattava? O forse c’era anche un modo diverso da quello attuale di vivere la maternità, più attento alle esigenze di un neonato che alle proprie?
Come è possibile per una neomamma riuscire ad avere un forte coinvolgimento affettivo per il bambino quando è troppo coinvolta da altre attività (come l’agonismo) che succhiano tutte le sue energie?
Nell’ultimo decennio mamme atlete di ogni specialità hanno partecipato e vinto competizioni di qualsiasi livello: Valentina Vezzali nella scherma e Josefa Idem nella canoa su tutte hanno vinto ori olimpici e campionati del mondo applaudite dai loro figli. Nel tennis come non ricordare il trionfo di Kim Clijsters nello Slam americano del 2009 festeggiato con la piccola Jada di diciotto mesi che stringe la coppa insieme a lei?

Mamme che praticano sport a livello agonistico



Da allora varie atlete hanno interrotto l’attività agonistica giusto per il tempo della gravidanza: altre, come la tennista Serena Williams hanno persino partecipato e vinto gare di altissimo livello (Australian Open 2017) pur essendo già incinte! Se queste campionesse sono solo le più note ad essere tornate in campo da mamme, come loro si comportano molte altre atlete, anche a livelli agonistici inferiori.

Di fronte a queste scelte sorge spontaneo l’interrogativo su quali siano i vantaggi di tutto ciò, sia per loro che per i figli. Certamente l’attività fisica può solo far bene a una donna dopo il parto e per alcune la ripresa del lavoro (in questo caso lo sport) aiuta a non sentirsi escluse dalla vita sociale.
Ma lo sport agonistico, soprattutto se praticato ad alto livello, che segna la donna per la fatica degli allenamenti e lo stress della competizione, come si coniuga con l’accudimento di un bambino? Siamo proprio certi che non gli viene tolto qualcosa? A questo aspetto si aggiungono i frequenti spostamenti da un paese all’altro richiesti ad un’atleta. Sono l’ideale per soddisfare le necessità di un bambino di pochi mesi? Viaggiare continuamente (che è molto diverso dal concedersi ogni tanto un viaggio di piacere) infatti mal si concilia con i bisogni di continuità e di regolarità della prima infanzia, in cui è necessario che vengano rispettate e non affrettate le tappe di sviluppo dei piccoli, necessarie per la loro crescita psicologica.
Il bebè invece spesso viene trattato come un adulto in miniatura e viene inserito in un ritmo di vita che non lo riguarda, solo perché il genitore non vuole modificare il proprio e si giustifica pensando che ciò faciliti la sua capacità di integrazione sociale!
Forse sarebbe il caso di riflettere su quanto ha detto a questo proposito da una ex nazionale di sci, Maria Rosa Quario “Un’atleta che diventa mamma dovrebbe soprattutto pensare a trasmettere la sua grande passione ai figli, facendo vivere loro, più che il ruolo di tifosi di una mamma campionessa, quello di protagonisti, seguiti con amore da una mamma competente”. 
* M.R. Quario ha fatto parte della Valanga Rosa negli anni 80 ed è madre di Federica Brignone, bronzo olimpico di slalom gigante nel 2018.

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