La modalità comunicativa adottata dai genitori è un tassello fondamentale nella costruzione della relazione con i propri figli e per il loro sviluppo.
Quante volte vi è sembrato di parlare con un muro quando spiegavate ai vostri bimbi che “quella cosa non si fa”? Quante volte vi siete trovate di fronte a sonori NO e pianti disperati da parte dei vostri piccoli perché veniva loro vietato qualcosa che secondo voi era pericoloso, ma che loro volevano assolutamente fare? Quali sono le vostre reazioni in queste situazioni? Certamente spesso capita di perdere la pazienza, anche alle mamme più pazienti!
Immagine tratta dal sito www.agora24.it |
Provate, però, a immaginare una situazione diversa, una situazione in cui voi spiegate pazientemente perché quella tal cosa non va fatta e il vostro bambino vi ascolta e comprende. Utopia? No, comunicazione efficace.
Vi chiedo un altro sforzo.
Provate a ricordare tutte quelle volte in cui qualcuno vi ha detto qualcosa che
vi ha fatte soffrire e gli avete risposto: “Ci sono modi e modi di dire le
cose!”. Ed è proprio vero! La stessa cosa può essere detta in mille modi,
assumendo così diversi significati e diverse connotazioni, nonché suscitare
diverse reazioni a seconda di come viene detta.
Quindi, adesso, provate ad
osservarvi quando parlate con vostro figlio. Quanto pensate sia efficace la
vostra comunicazione? Confrontate il vostro stile comunicativo con quanto sto
per scrivere.
Vediamo intanto una breve
definizione di comunicazione: la
comunicazione è uno scambio di informazioni verbali (produzione linguistica) e
non verbali (tono della voce, postura, gesti, sguardo) tra più individui che
hanno lo scopo di modificare il contesto. Nel momento in cui gli individui
riescono a far sì che queste informazioni siano chiare e decodificate, senza
che siano soggette a giudizi o ammonizioni, utilizzando lo stesso linguaggio e
gli stessi segni o simboli, quindi lo stesso codice, si potrà parlare di comunicazione efficace.
Il primo passo per comunicare
efficacemente con i nostri bambini è, innanzitutto, l’ascolto attivo: non dobbiamo limitarci a recepire il messaggio, ma
dobbiamo porci in una condizione di ascolto attento e comprensivo, in un
atteggiamento non giudicante, fornendo alla fine del messaggio un feedback di
ciò che abbiamo ascoltato. Il bambino, in questo modo, si sentirà accolto e
accettato incondizionatamente, si sentirà libero di esprimere il suo pensiero e
le sue emozioni. Ciò permetterà lo sviluppo di una buona autostima e insegnerà
al bambino, allo stesso tempo, a gestire egli stesso le sue comunicazioni in
maniera efficace, poiché grazie al nostro ascolto attento ed empatico gli
avremo dato un esempio al quale lui attingerà in futuro. Questo farà di lui un
individuo comprensivo e rispettoso.
Poi, altrettanto fondamentale è l’aspetto
non verbale della comunicazione: facciamo attenzione a ciò che comunichiamo con
i nostri sguardi, con i nostri atteggiamenti, con i nostri gesti, il nostro
tono di voce. Urlare, mostrarci indispettiti, arrabbiati, con un atteggiamento
autoritario, può incutere timore e rispetto per la nostra figura genitoriale, potrà
farci ottenere “obbedienza”, ma non otterremo dal bambino che non faccia una
tal cosa perché avrà compreso il perché non vada fatta, bensì perché si sente
obbligato a non farla e, a lungo andare, potremmo ottenere invece risultati
opposti. Questo mina la sintonizzazione nella comunicazione tra genitori e
figli.
L’alternativa quale sarebbe,
potreste chiedervi, a questo punto? Anziché rimproverare vostro figlio
guardandolo dall’alto, dando luogo a una relazione di disparità, provate ad
abbassarvi al suo livello, guardatelo negli occhi e spiegategli con calma ( sì,
lo so, a volte ci vuole prima un bel respiro profondo!) cosa c’è che non va in
ciò che sta facendo, non limitatevi a dire “no, non si fa!”, ma fategli vedere
perché non si fa, spiegategli, ad esempio, che con quell’oggetto può farsi
davvero male, offritegli un’alternativa, un altro oggetto, un’altra attività.
Vedrete che i risultati saranno migliori non solo in termini di comportamento,
ma anche di benessere vostro e dei vostri figli, meno urla e pianti, più
abbracci e sorrisi!
A proposito di atteggiamento non
giudicante di cui avevo accennato prima, è importante, infine, il soggetto con
cui vi esprimete nel parlare con i vostri figli. Siamo abituati, nel comunicare
con gli altri, ad usare il “tu” quando ci rivolgiamo a loro: “tu hai fatto… tu
hai detto…”. Questo ci pone necessariamente in una condizione giudicante,
perché ciò che comunichiamo, più o meno intenzionalmente, è: sei tu che hai
sbagliato, è colpa tua se è successo. Ovviamente questo genera dei sensi di
colpa; nel caso di un bambino che si sente dire “guarda cos’hai fatto!” oppure “(tu)
sei un monello! Mi hai fatto male!”, si generano in lui sentimenti di
inadeguatezza, colpa, vergogna, può sentirsi incapace di essere ciò che i
genitori si aspettano da lui e, quindi, non degno di essere amato e, se questo
modello comunicativo persisterà nel tempo, ciò si ripercuoterà nella
costruzione della sua personalità e nelle sue relazioni future.
E se invece al posto del “tu”
usassimo l’“io”? In fondo siamo noi che proviamo rabbia, siamo noi che
stiamo male, quando qualcuno ha ferito i nostri sentimenti, ma lo stesso
atteggiamento di quella persona potrebbe non essere universalmente percepito,
potrebbe non ferire altre persone, quindi è giusto sottolineare quanto faccia
male a noi in quel dato momento. Quindi proviamo a trasformare le nostre
frasi, passando dal “tu” all’“io”, per esempio da “così mi fai male!” a “così
mi faccio male” o da “mi hai fatto arrabbiare!” a “mi sono arrabbiato”. Notate
la differenza? In questo modo, pur esprimendo lo stesso concetto, state
chiedendo di fare attenzione perché in quel modo voi vi fate male o quella cosa
vi dà fastidio, al contrario il messaggio sottointeso e percepito sarebbe
giudicante: tu non sai stare attento, tu sei maldestro, tu fai arrabbiare gli
altri. Ci sono poi situazioni in cui il “tu” non va necessariamente sostituito
con un “io”, ma in condizioni di “scontro” è sempre consigliabile non usarlo
(es.: “(tu) non lo sai fare” vs “il modo migliore di farlo è questo…”; come
potrete notare, insegnerete al vostro piccolo il modo più corretto di fare
qualcosa senza che lui non si senta abile e capace).
I bambini imparano imitando i
genitori, se mostriamo loro di saper gestire le nostre emozioni e di saper
comunicare con rispetto e comprensione, loro impareranno a fare altrettanto, saranno
bambini sereni e ne faranno tesoro per il loro futuro.
E voi che stile comunicativo adottate
con i vostri bimbi?
Dott.ssa Florinda Lo Piano
La Psicologa delle Mamme
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